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LA DISFATTA DELL'ARMIR

  • 16 gen 2021
  • Tempo di lettura: 2 min

17 Gennaio 1943: sulle rive del Don inizia la drammatica ritirata dell’ ARMIR, l’Armata Italiana in Russia, che ebbe il compito, insieme alle meglio attrezzate truppe tedesche, di sferrare l’attacco finale a Stalingrado, per puntare poi direttamente a Mosca, nel cuore dell’Unione Sovietica. Dopo il primo assedio di Stalingrado, gli uomini dell’ARMIR, in gran parte alpini, ebbero il compito di difendere il settore del Don, per prevenire qualsiasi contrattacco sovietico. Nei primi mesi dell’assedio di Stalingrado tutto sembrava andare secondo i piani, tanto che gli alti comandi tedeschi davano per spacciata la capacità sovietica di sferrare un contrattacco. Nessuno però, tra i generali italiani e tedeschi aveva fatto i conti con il clima russo che agli inizi di Dicembre cominciò a mettere in difficoltà gli schieramenti dell’Asse. Come Napoleone, che venne sconfitto dal “Generale Inverno”, i reparti tedeschi e italiani cominciarono ad accusare i primi problemi legati alle temperature quasi artiche: il vestierio poco adeguato, i mezzi non efficienti su quei tipi di terreni e primo fra tutti la mancanza di scorte alimentari. Da Gennaio del 1943, i russi, sull’ondata di un rinnovato patriottismo, riuscirono a rompere l’assedio di Stalingrando e di conseguenza le armate di Stalin, meglio armate e meglio preparate per qui teatri operativi cominciarono a dilagare oltre il Don, riconquistando tutti i terreni persi fino al 1942.

L’ordine fatidico di ritirarsi venne dato dal generale Gabriele Nasci: sebbene una ritirata spesso comporti un rientro alla base, per il corpo di armata italiano stava per cominciare il vero incubo. Gli uomini della “Tridentina”, della “Julia” , della “Cuneense” e della “Vicenza” confluirono insieme fino a formare una colonna in marcia forzata di 70 mila uomini. Al rientro verso le linee alleate la colonna di militari, stremati dal freddo, dai continui attacchi sovietici e dalla mancanza di uomini e mezzi persero gran parte dei pochi viveri ed equipaggiamenti e a migliaia caddero prigionieri, morti in combattimento o falciati dal freddo impietoso della steppa russa.

Con la ritirata dell’ARMIR si fa coincidere l’ultimo tentativo offensivo del governo italiano e negli anni, le penose condizioni in cui versavano i soldati mandati a combattere nel pieno della steppa sovietica hanno confermato l’inutilità e la scelleratezza di alcune scelte di Mussolini, artefice, insieme ai suoi generali di una delle pagine più brutte e tragiche della storia d’Italia.


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