25 NOVEMBRE : POLITICA O VERA SENSIBILIZZAZIONE ?
- Unione Popolare
- 25 nov 2021
- Tempo di lettura: 7 min
Da qualche tempo Norma Cossetto è diventata uno dei simboli della violenza delle foibe.
Dopo aver ricevuto nel 2005 la medaglia d'oro alla memoria per merito civile, la giovane
donna uccisa nel 1943, è ormai costantemente presente nell'immaginario pubblico. Da
molti mesi poi il “comitato 10 febbraio” (un'associazione di estrema destra il cui presidente
è lo stesso Emanuele Merlino) porta avanti una campagna per intitolare a Norma Cossetto
luoghi della memoria in ogni comune d'Italia. Una proposta che, pur provenendo da
ambienti inequivocabilmente di estrema destra, viene presentata come a-politica perché la
giovane donna sarebbe stata uccisa, secondo una retorica consolidata, “solo perché
italiana”. Sgombriamo subito il campo da qualunque equivoco: Norma Cossetto è una
vittima inerme della guerra e come tale va umanamente rispettata. Ma cosa sappiamo
realmente di lei e della sua vita? Poco, per la verità. Studentessa, maestra, giovane donna
attiva e indipendente, Norma Cossetto era certamente fascista. Norma Cossetto
apparteneva a una famiglia di riconosciuta fede fascista: lei stessa era iscritta ai GUF
(Gruppi universitari fascisti) mentre il padre Giuseppe, squadrista della prima ora, aveva
ricoperto importanti cariche politiche del regime, tra cui quella di podestà. Egli venne
ucciso negli stessi giorni combattendo come ufficiale della milizia al fianco dei nazisti
durante l'operazione “Nubifragio", che fece in Istria 2500 morti civili (anche italiani). La
figlia venne quindi arrestata e fucilata dai partigiani non “perché italiana” (negli stessi
giorni decine di migliaia di altri italiani-istriani non vengono affatto toccati), ma in quanto
fascista. In pieno conflitto ideologico, nel cuore della seconda guerra mondiale, in un
contesto di violenza e sopraffazione portato dal regime fascista in quelle terre, la giovane
viene considerata una nemica dai resistenti locali (italiani e slavi).
Tutto ciò non giustifica il suo arresto e la sua condanna. Ma se Norma Cossetto rappresenta
simbolicamente qualcosa, non è l'italianità, bensì la sua versione estremista e aggressiva,
che in quell'epoca si incarnava nel regime fascista. Così infatti è sempre stata ricordata da
chi ne condivideva il pensiero politico: durante l'occupazione nazista (a lei venne intitolato
un reparto militare femminile della RSI di Mussolini), dai nostalgici del regime nel
dopoguerra, e infine nella recente rappresentazione che di lei viene fatta nel film Rosso
Istria, dove Norma e i suoi famigliari sono (onestamente, va detto) mostrati come fascisti
che inneggiano al Duce e invocano l'intervento nazista in loro difesa. Insomma, ben prima
di diventare una martire italiana, Norma Cossetto è sempre stata considerata una martire
fascista, e così continua ad essere rappresentata da chi la intende omaggiare. Dopo decenni
di glorificazione della vittoria militare contro i fascismi, di esaltazione dell'uso della forza
“giusta” da parte dei liberatori e dei partigiani in armi, l'attenzione si è sempre più spostata
su chi la guerra l'ha subita senza combatterla. Questa nuova visione, che deriva da una
sensibilità informata dalla cultura dei diritti umani, ha il merito di portare alla luce aspetti
della “guerra totale” meno conosciuti e categorie di persone in precedenza poco
considerate: i civili, innanzitutto; ma pure, ad esempio, i prigionieri di guerra, gli internati
militari, le vittime di rappresaglie, i profughi, e anche le migliaia di donne vittime di
violenze sessuali durante il conflitto. Nel discorso pubblico, a tanti decenni di distanza dai
fatti, l’attenzione verso le vittime inermi favorisce una maggiore identificazione da parte di
chi vive nelle attuali, pacifiche, società europee. E tuttavia rischia di far dimenticare proprio
il contesto di violenza diffusa e generalizzata che caratterizzava quegli anni. Inoltre, in un
1contesto post-ideologico, risultano sempre meno comprensibili le contrapposizioni
politiche che caratterizzarono il secondo conflitto mondiale. Che non furono
esclusivamente tra fascismo e comunismo (secondo un immaginario veicolato dalla stessa
propaganda fascista), ma fra chi si riconosceva nel sistema di valori su cui si fondavano le
politiche di sterminio fasciste e chi le osteggiava, lottando per la liberazione di interi popoli
oppressi e schiavizzati. La scelta di commemorare ufficialmente la morte di Norma Cossetto
diventa dunque accettabile in questa logica che mette al centro la vittima, spogliata di
qualunque connotazione politica. La figura di Norma Cossetto poi è particolarmente
funzionale perché incarna la versione archetipica della vittima: una giovane donna
disarmata, uccisa “barbaramente” (sono ormai entrati nell'immaginario comune i dettagli
macabri sull'uso delle foibe come luogo di sepoltura), e forse anche sessualmente abusata.
Lo stupro di Norma Cossetto non è suffragato da prove certe, al punto che persino un
volume edito dalla Lega Nazionale di Trieste (un ente che non può certo essere accusato di
partigianeria filojugoslava) parla di “incontrollate fantasie e presunte testimonianze” circa
questo episodio (Roberto Spazzali, Foibe. Un dibattito ancora aperto, Editrice Lega
Nazionale, Trieste 1990, p. 149). Tuttavia non c'è ragione di dubitarne, considerato il clima
di violenza e di rabbia popolare diffuso nell'area in quei giorni. In guerra la violenza è
strutturale e, in una “guerra civile globale” come il secondo conflitto mondiale, i civili sono
coloro che più ne subiscono le conseguenze. Le donne più ancora di altri soggetti, in
ragione di una subalternità tradizionale al potere maschile nel contesto di società
profondamente patriarcali. L'oppressione esercitata sul gruppo nemico attraverso la
violazione del corpo femminile è stata ampiamente praticata da tutti gli schieramenti in
conflitto anche durante la seconda guerra mondiale. Ma c'è una differenza che non va
dimenticata: la violenza per i fascisti non è uno strumento, ma un valore; il che riguarda
anche la violenza di genere, realmente o simbolicamente esercitata. La violenza,
nell'ideologia fascista, è il mezzo ideale, e regolarmente utilizzato, per la risoluzione di ogni
contesa politica, adottato fin dalla fondazione del movimento e mai abbandonato, né
durante il Ventennio, né tanto meno nella guerra antipartigiana. Per gli eserciti liberatori
invece l'uso della forza non è il prodotto di un'ideologia, ma una necessità contingente, a
cui si ricorre per mancanza di alternative, a cui si è costretti dallo stato di guerra e spesso,
come accade ad esempio in Istria, da una brutale occupazione militare. Pur in un contesto
sociale globale improntato ai valori patriarcali e caratterizzato da pratiche virili, gli
antifascisti e i partigiani agiscono ovunque secondo prospettive di cambiamento sociale
che includono anche una visione diversa della donna. Ciò è particolarmente evidente nel
caso jugoslavo, dove la Resistenza rappresenta una straordinaria opportunità di
emancipazione femminile. Nelle unità partigiane jugoslave, che arrivano a includere il 20%
di donne combattenti, sono addirittura proibiti i rapporti sessuali fra commilitoni, per
impedire eventuali prevaricazioni. L'insistenza morbosa sulle modalità dell'uccisione di
Norma Cossetto da parte di chi intende celebrarne il “martirio” vuole anche trasmettere
l'idea che i partigiani (soprattutto quelli slavi e comunisti) usassero lo stupro come
consueta arma di guerra, specie contro popoli culturalmente superiori – secondo i
nostalgici del fascismo - come quello italiano. Ma nella realtà ogni forma di violenza
sessuale era proibita dai comandi partigiani jugoslavi, socialmente stigmatizzata dai
combattenti e severamente punita, anche con la fucilazione dei responsabili. Il caso di
Norma Cossetto, se accertato, rappresenterebbe dunque un evento eccezionale, quasi
unico in quel contesto di guerra, mentre lo stupro veniva praticato abitualmente, nella
medesima zona, dai torturatori fascisti.
Quella stessa parte politica che promuove adesso le iniziative per celebrare Norma
Cossetto non ha mai nascosto la sua ammirazione per il fascismo e i suoi metodi. È una
parte politica che ancora oggi diffonde odio e razzismo, omofobia e sessismo, che invoca la
pena di morte o l'evirazione per il reato di stupro quando commesso da migranti (in
particolare se “di colore”), ma è sempre pronta a giustificare lo stesso crimine (mettendo
sotto accusa la vittima) quando commesso da uomini “bianchi”, specie se in divisa. Appare
evidente dunque come sia pretestuosa l'insistenza sulle circostanze della morte di Norma
Cossetto. A questa gente non interessa la sofferenza fisica e psicologica di una donna
vittima di violenza; il corpo di Norma Cossetto, per loro, non è altro che uno strumento
politico, brutalmente utilizzato come simbolo di una patria presuntamente violata. Ma di
quale patria parlano, in effetti? Non ci sono dubbi che Norma Cossetto sia una vittima
inerme e come tale merita umanamente rispetto. Ma per poter essere considerata un
simbolo della patria dovrebbe aver fatto in vita qualcosa di straordinario per il suo paese.
Oppure, come nel caso dei martiri cristiani, dovrebbe essere morta in nome di valori che
noi riconosciamo come fondanti della nostra civiltà. Ma da quello che gli storici sanno (e
che non nascondono nemmeno i promotori delle iniziative in suo nome), Norma Cossetto
in vita era una studentessa come tante, membro di una importante famiglia fascista, morta
per questa ragione e in nome di quell'ideale. Non che questo sia un crimine in sé (in Italia
in verità oggi il fascismo è un reato, ma questa è un'altra storia...), e ovviamente non
dovrebbe giustificarne l'omicidio, lo ripetiamo per la quarta volta. Tuttavia ciò significa
anche che, nel contesto in cui viveva e agiva, la giovane donna fosse schierata dalla parte di
chi praticava violenza in maniera sistematica e programmatica, di chi sterminava intere
popolazioni e categorie umane per ragioni politiche e razziali. Presentarla come una
martire della nazione non rende onore alla realtà dei fatti e nemmeno alle sue scelte di
campo. La morte di Norma Cossetto avviene proprio in relazione a tali scelte di campo,
quando era schierata dalla parte di quelle idee che, fortunatamente, la Resistenza ha
contribuito a sconfiggere, in difesa di un'idea di patria libera e democratica. Fra le vittime
dei crimini commessi dall'esercito italiano durante l'epoca fascista in varie parti del mondo
(dall'Etiopia alla Libia, dalla Grecia ai territori dell'ex Jugoslavia) si contano migliaia di
donne. Anche in Italia sono decine le partigiane torturate e uccise dai fascisti e dai nazisti.
Sono morte per la patria: non per il fascismo, ma per un'Italia giusta e democratica, la
nostra Italia. Tra le migliaia di partigiane combattenti spicca un'altra Norma. Quasi
coetanea della Cossetto, l'emiliana Norma Barbolini sceglie la Resistenza nel novembre
1943 e pochi mesi dopo diventa comandante di una formazione partigiana che agisce
nell'area della Repubblica di Montefiorino. Sopravvive a numerosi combattimenti, alle
stragi compiute da fascisti e nazisti nella zona, e dopo la guerra continua la sua attività
politica e di lotta a favore dell'emancipazione femminile. In tutta Italia, risulta un solo luogo
intitolato a Norma Barbolini, un parco pubblico nella sua Sassuolo. Allora perché non
intitolare vie e piazze alle Donne della Resistenza e alle Italiane Antifasciste? È evidente
quanto sia pretestuosa la scelta di celebrare invece, a livello nazionale, Norma Cossetto:
3con la sua figura non si vogliono commemorare le vittime civili della seconda guerra
mondiale, le italiane morte per la patria, né tanto meno le donne in sé o le vittime di
violenza di genere. Si vogliono celebrare le vittime fasciste dei partigiani. È naturale che i
nostalgici del fascismo promuovano i loro “martiri”, ma questa non può diventare la politica
memoriale del nostro paese. Di questo devono essere consapevoli gli amministratori
pubblici che si riconoscono negli ideali democratici, che hanno giurato fedeltà alla
Costituzione e alla Repubblica. Quale nazione intendono celebrare? Quale Norma? Quale
donna? Quella che ha lottato per la libertà e la democrazia o quella schierata dall'altra
parte, che stava con fascisti e nazisti?
Una società democratica compiuta deve dare valore alla Storia, ai suoi meccanismi, alla sua
complessità, alle sue contraddizioni; non pescare nel passato per proporre di volta in volta
nuovi martiri o nuovi eroi. Commemorare i femminicidi in guerra, le vittime di violenza di
genere è giusto e necessario. Ma va fatto con onestà e chiarezza, senza dimenticare il ruolo
del patriarcato, del modello sociale maschilista, dell'uso pubblico del corpo della donna in
funzione nazionalista. E soprattutto, cercando di impedire che soggetti politici senza
scrupoli ne approfittino per capovolgere i valori politici e morali su cui si fonda la nostra
democrazia. Le richieste di intitolazione pubbliche per Norma Cossetto non sono affatto
neutrali. Sono iniziative di parte, di quella parte che ancora giudica la forza una virtù, la
violenza un valore, la morte (più spesso inflitta che subita) un vanto. Non è solo l’ennesimo
caso di abuso politico del corpo di una donna; è anche un esplicito omaggio a quell’Italia
fascista che NON VOGLIAMO RITORNI.
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